Uno dei momenti nei quali tradizionalmente il bambino adottato sente il bisogno di reperire informazioni sulla famiglia biologica è l’adolescenza, fase nella quale la costruzione della propria identità spinge i ragazzi a raccogliere i pezzi della loro storia (anche quelli perduti) per integrare le informazioni in un immagine di sé coerente.
Questo processo psicologico di base sino a poco tempo fa era ostacolato da un modello che considerava l’adozione una nuova nascita per il bambino, dove tutto il passato doveva essere negato e tenuto nascosto. Un punto di vista fondato sul segreto delle origini, sull’interruzione e sull’idea della famiglia adottiva come unica nella storia del bambino. Ciò che era accaduto prima dell’adozione non aveva peso anche quando quel prima era il luogo, ad esempio, di un trauma che non poteva essere ripreso, rielaborato, integrato; d’altronde le informazioni era tenute nascoste, omesse agli stessi genitori adottivi e spesso ai servizi competenti.
Attualmente si assiste ad una trasformazione radicale , si sta passando ad un modello basato sul recupero del passato, sulla continuità , sulla triade genitori adottivi, bambini e genitori biologici. Questo implica l’importanza della narrazione, della raccolta di informazioni come punto di partenza affinchè la coppia adottiva possa accompagnare il bambino nella co/costruzione della propria identità. La trasformazione ha implicato una modifica legislativa, infatti l’articolo 28 della legge 184/1983 sancisce l’obbligo per i genitori adottivi di informare il figlio adottato sulle proprie origini.
La possibilità di accedere in maniera trasparente alle informazioni inerenti il passato del bambino diventa fondamentale, non solo per la costruzione del sé, ma appare funzionale su altri piani: sapere aiuta il genitore adottivo ad attribuire significati ai comportamenti ed alle emozioni del bambino. Costruiamo le rappresentazione di noi, del mondo e degli altri attraverso le prime relazioni di attaccamento, attraverso di esse elaboriamo strategie per ottenere protezione; e così, ad esempio, un bambino che abbia vissuto con un genitore distanziate imparerà, in caso di bisogno, a non chiedere aiuto, a comportarsi come se nulla fosse accaduto. Se il genitore adottivo conosce la storia del proprio figlio, potrà comprendere e rispecchiarsi emotivamente nella sofferenza di quel comportamento; in caso contrario ed in assenza di una cornice si sentirà inutile e non voluto arrivando a disattivare le proprie cure . La mentalizzazione è un fattore di protezione per lo sviluppo del bambino che può essere aiutato a rileggere la propria storia e a capire che la mamma non lo ha abbandonato perché lui era cattivo (egocentrismo) ma perché era depressa (decentramento). Mettere i genitori adottivi nella condizione di dare al proprio figlio una chiave di interpretazione della propria storia significa aiutarlo a capire come mai alcuni adulti (tra cui i suoi genitori biologici) hanno fallito nell’assumere il proprio ruolo genitoriale (Vadilonga, 2011).
Collegare i propri comportamenti attuali ad esperienze reali è una condizione fondamentale per darsi delle spiegazioni e creare significati . Appare chiaro come la narrazione possa considerarsi un fattore protettivo del buon esito del percorso adottivo; proprio per questo non può essere lasciata alle sole forze dei genitori adottivi che devono essere aiutati e supportati anche passando attraverso la rilettura delle proprie storie di attaccamento che influenzano il modo nel quale loro stessi si mettono in relazione, che orientano la capacità di sintonizzarsi sui bisogni emotivi dei propri figli anche quando questo implica ripercorrere il trauma di un abuso.
In realtà non si tratta solo di trasmettere informazioni, non è ciò che è utile al bambino, quanto di costruire una chiave di lettura, una cornice all’interno della quale poter attribuire significati: poter capire come mai è stato abbandonato. Se ci pensiamo, una volta definita la chiave di lettura (il perché) non sono poi così importanti i particolari, per il minore è necessaria una verità sostanziale (Chistolini, 2003) che sia chiara, attendibile ma soprattutto protettiva.
Dott.ssa Paola Fanti
Questo processo psicologico di base sino a poco tempo fa era ostacolato da un modello che considerava l’adozione una nuova nascita per il bambino, dove tutto il passato doveva essere negato e tenuto nascosto. Un punto di vista fondato sul segreto delle origini, sull’interruzione e sull’idea della famiglia adottiva come unica nella storia del bambino. Ciò che era accaduto prima dell’adozione non aveva peso anche quando quel prima era il luogo, ad esempio, di un trauma che non poteva essere ripreso, rielaborato, integrato; d’altronde le informazioni era tenute nascoste, omesse agli stessi genitori adottivi e spesso ai servizi competenti.
Attualmente si assiste ad una trasformazione radicale , si sta passando ad un modello basato sul recupero del passato, sulla continuità , sulla triade genitori adottivi, bambini e genitori biologici. Questo implica l’importanza della narrazione, della raccolta di informazioni come punto di partenza affinchè la coppia adottiva possa accompagnare il bambino nella co/costruzione della propria identità. La trasformazione ha implicato una modifica legislativa, infatti l’articolo 28 della legge 184/1983 sancisce l’obbligo per i genitori adottivi di informare il figlio adottato sulle proprie origini.
La possibilità di accedere in maniera trasparente alle informazioni inerenti il passato del bambino diventa fondamentale, non solo per la costruzione del sé, ma appare funzionale su altri piani: sapere aiuta il genitore adottivo ad attribuire significati ai comportamenti ed alle emozioni del bambino. Costruiamo le rappresentazione di noi, del mondo e degli altri attraverso le prime relazioni di attaccamento, attraverso di esse elaboriamo strategie per ottenere protezione; e così, ad esempio, un bambino che abbia vissuto con un genitore distanziate imparerà, in caso di bisogno, a non chiedere aiuto, a comportarsi come se nulla fosse accaduto. Se il genitore adottivo conosce la storia del proprio figlio, potrà comprendere e rispecchiarsi emotivamente nella sofferenza di quel comportamento; in caso contrario ed in assenza di una cornice si sentirà inutile e non voluto arrivando a disattivare le proprie cure . La mentalizzazione è un fattore di protezione per lo sviluppo del bambino che può essere aiutato a rileggere la propria storia e a capire che la mamma non lo ha abbandonato perché lui era cattivo (egocentrismo) ma perché era depressa (decentramento). Mettere i genitori adottivi nella condizione di dare al proprio figlio una chiave di interpretazione della propria storia significa aiutarlo a capire come mai alcuni adulti (tra cui i suoi genitori biologici) hanno fallito nell’assumere il proprio ruolo genitoriale (Vadilonga, 2011).
Collegare i propri comportamenti attuali ad esperienze reali è una condizione fondamentale per darsi delle spiegazioni e creare significati . Appare chiaro come la narrazione possa considerarsi un fattore protettivo del buon esito del percorso adottivo; proprio per questo non può essere lasciata alle sole forze dei genitori adottivi che devono essere aiutati e supportati anche passando attraverso la rilettura delle proprie storie di attaccamento che influenzano il modo nel quale loro stessi si mettono in relazione, che orientano la capacità di sintonizzarsi sui bisogni emotivi dei propri figli anche quando questo implica ripercorrere il trauma di un abuso.
In realtà non si tratta solo di trasmettere informazioni, non è ciò che è utile al bambino, quanto di costruire una chiave di lettura, una cornice all’interno della quale poter attribuire significati: poter capire come mai è stato abbandonato. Se ci pensiamo, una volta definita la chiave di lettura (il perché) non sono poi così importanti i particolari, per il minore è necessaria una verità sostanziale (Chistolini, 2003) che sia chiara, attendibile ma soprattutto protettiva.
Dott.ssa Paola Fanti
Bibliografia
Vadilonga F. , (2011). Curare l’adozione , a cura di Raffaello Cortina Editore , (133-140)
Attili G., (2011). Attaccamento e costruzione evoluzionistica della mente, Raffaello Cortina Editore (283-299)
Schofield G., Beek M., (2013). Adozione, Affido, Accoglienza, , Raffaello Cortina Editore (461-491)
Marco Chistolini (2003), Le informazioni nell’adozione: quale significato nella crescita del bambino”, in Minorigiustizia 3/2003, Franco Angeli Editore
Vadilonga F. , (2011). Curare l’adozione , a cura di Raffaello Cortina Editore , (133-140)
Attili G., (2011). Attaccamento e costruzione evoluzionistica della mente, Raffaello Cortina Editore (283-299)
Schofield G., Beek M., (2013). Adozione, Affido, Accoglienza, , Raffaello Cortina Editore (461-491)
Marco Chistolini (2003), Le informazioni nell’adozione: quale significato nella crescita del bambino”, in Minorigiustizia 3/2003, Franco Angeli Editore