Mi sono approcciata alla terapia, come a molte cose, con curiosità guastata da una punta di scetticismo, e soprattutto dalla paura di soffrire, di andare a toccare i miei nervi scoperti. Certe parti della mia vita era meglio cercare di seppellirle, dimenticarle, non certo andare a scarvarvi intorno. Ma la terapia ha creato una linea di confine tra il prima e il dopo. Dopo, niente più paura e scetticismo. Niente più momenti orribili da dimenticare. Niente pensieri oscuri che emergono nel dormiveglia e non lasciano dormire. Niente di cui vergognarmi, o dolermi, nel ripensare alla mia vita. Non sono più la persona che credevo di essere: ora so che forse non lo sono mai stata. La terapia è stata dolce, molto meno faticosa e dolorosa rispetto alle mie pessimistiche previsioni. È stata, soprattutto, liberatoria. Quanti pianti! Ma come mi veniva puntualmente detto con un sorriso: “Piangi, butta fuori. È l’ultima volta che piangi per questo!” Era vero. Entravo tesa, ma dalla seduta uscivo rilassata, alleggerita. Dopo poche sedute, entravo tranquilla ed uscivo col sorriso, tante volte perfino euforica, per quello che avevo scoperto e realizzato. La mia terapeuta mi aiutava a liberarmi dei sassi e dei sassolini che avevo raccolto per strada, mi ero caricata sulle spalle e non riuscivo a mettere giù. Ci sono riuscita, un po’ alla volta, sotto la sua guida. Adesso le mie spalle sono libere: i bei ricordi, i pensieri positivi, l’autostima e la sicurezza non pesano. Quelle che pesavano erano le difficoltà quotidiane, il lavoro, lo stress. I miei problemi di salute. Certi vecchi ricordi. L’ansia si presentava quotidianamente per molte ragioni, e mi sembrava di riuscire a controllarla (chi non ne soffre?). Ma in certi periodi mi impediva di dormire, di pensare lucidamente, di godermi quello che mi piace. Mi toglieva ogni energia, ogni voglia di fare. Sono stati questi periodi bui che mi hanno spinto ad affidarmi a un terapeuta. Dovevo fare qualcosa. Col senno di poi avrei voluto essermi decisa prima di arrivare a certi baratri. Avrei voluto rendermi conto che qualcosa non andava nel momento in cui non riuscivo a godermi i miei piccoli e grandi successi, i viaggi, le serate in compagnia, e ad approcciarmi a tante cose a cuor leggero. E i dolori! Le tensioni alle spalle, al collo, i mal di schiena e di stomaco che le medicine non facevano passare e che tante terapie non avevano saputo risolvere. Chi lo sapeva, che quella tensione nasceva dalla mia ansia? Che i miei muscoli erano contratti dalla paura di questo e di quello, dall’ansia per qualcosa che temevo si realizzasse, dallo stress accumulato e mai rilasciato per anni? Ho cominciato la terapia, quindi. E ho scoperto che quello che mi pesava non erano certi eventi della mia vita, e certi vecchi ricordi. Erano i pensieri che questi ricordi lontani di anni ancora mi suscitavano, e le convinzioni su me stessa che avevano generato. Si erano formate come granelli di calcare, e negli anni, e in seguito ad altre esperienze (comprese quelle recenti) erano cresciute, si erano rafforzate senza che lo sapessi. “Questa cosa non sono proprio in grado di gestirla”, “non valgo nulla”, “prima o poi perderò il controllo”, “questo non me lo merito”, “ho sbagliato tutto”, “sono davvero sfortunata”. Quanti bei sassolini e macigni ci portiamo nel bagaglio della nostra esperienza, come fossero verità assolute, giudizi insindacabili! Individuati questi macigni, con l’EMDR abbiamo cominciato a prenderli in mano ed esaminarli, uno per uno. Ho scoperto che erano associati appunto a dei ricordi, o meglio a delle immagini mentali: parziali, distorte, lontane, magari nemmeno reali, ma con una forte carica emotiva. Erano immagini angoscianti, o dense di una rabbia che ancora mi scuoteva, altre volte umilianti. Evocarle era sempre doloroso, ma era questione di poco: il processo iniziava e con esso il sollievo. La dottoressa iniziava la stimolazione visiva. Pochi secondi dopo, pausa, e mi invitava a parlare di quello che vedevo, o sentivo. Altra breve stimolazione, e così via. E intanto succedeva: rapidamente, le immagini si modificavano. Emergevano altri dettagli, mi ricordavo meglio com’era andata, spesso scoprivo che il mio ricordo era fallace. Mi ritrovavo a guardare quell’evento che tanto mi aveva scosso da una prospettiva differente. Le emozioni a volte cambiavano del tutto, dalla vergogna alla tristezza, dalla tristezza alla rabbia. Ma ad un certo punto cominciavano a placarsi, mentre il fatto in sé cambiava di significato. La tensione corporea diminuiva, cominciavo a rilassarmi. Tutto questo senza nessun intervento della dottoressa, senza nessuna nuova informazione che non venisse da me stessa, che in questo processo ero guidata da una presenza discreta. Spesso arrivavo a osservare la scena come se non fossi io quella ragazzina, come una semplice spettatrice. Non perdevo il senso della realtà, non si tratta di una specie di ipnosi: ero ben cosciente, molto concentrata, ricettiva. Ma quell’immagine non aveva più lo stesso significato, per me. Quel ricordo non era più lo stesso, e soprattutto aveva smesso di fare male. Ero riuscita a dargli un nuovo senso, o a perdonarmi, o a perdonare gli altri, a capire che i pensieri che ci avevo fatto sopra non erano corretti. Non mi faceva più paura. Non voleva dire niente di sbagliato sulla mia personalità o le mie capacità. Quel brutto momento era superato, apparteneva al passato. Era chiuso. E alla fine invece di rafforzarsi perdeva consistenza: la mia memoria finalmente lo aveva messo da parte, perché non era più così importante. Tutta la valenza di queste immagini, le convizioni su me stessa ad esse legate, si sono indebolite e dissolte, seduta dopo seduta. Questa tecnica è all’apparenza un procedimento così semplice, e ha un effetto così profondo e immediato, che ha qualcosa di magico. Le sedute di EMDR all’interno della mia terapia da un malessere più che affrontabile da un senso di pace ritrovata La terapia è finita e l’ansia non fa più parte della mia vita. Non è che non mi capiti più di stare male per qualcosa, di agitarmi o di perdere le staffe, ma non precipito più in certi abissi. Se qualcosa mi preoccupa, è una circostanza reale e circoscritta, e ho scoperto di saper gestire le difficoltà con le mie forze, di avere delle risorse inaspettate. Ho capito che non ha più senso cercare di prevedere come andrà qualcosa che mi spaventa, non me lo figuro più per ore pensando al peggio e a come posso preparami. Liberata dal peso delle preoccupazioni eccessive, posso concentrarmi davvero sul presente, affrontando con la mia ritrovata sicurezza ogni sfida che si presenta; essere grata per tutto ciò che ho; ricercare e godendomi finalmente, ogni giorno, quello che mi rende felice. S.